sabato 14 giugno 2008

Referendum in Bolivia

Il 5 maggio si è svolto l’incostituzionale referendum pro-autonomia della provincia di Santa Cruz indetto dalle 40 famiglie più potenti, ricche, razziste e golpiste che compongono l’oligarchia del Bolivia.
L'informazione mondiale non ha dato il giusto risalto agli avvenimenti dello Stato andino che rischia un vertiginoso aumento di tensioni e tace sul fatto che il referendum è antidemocratico, incostituzionale e supportato dall'organizzazione giovanile del Comitè Civico, figlio delle oligarchie reazionarie e di estrema destra e molto vicino a gruppi paramilitari.
La regione con questo referendum pretende di sottrarre al controllo del governo centrale l’amministrazione delle risorse naturali (Gas, petrolio ed altre preziose materie prime), la fiscalità, le eventuali riforme agrarie, il controllo dei trasporti (stradali, ferroviari, aerei e fluviali) e le comunicazioni. Con queste pretese non si può parlare di una regione con una ampia autonomia ma di uno stato vero e proprio.

Le istituzioni politiche ed economiche sud americane, Gruppo di Rio e ALBA, si sono schierate a favore di Evo Morales (Presidente della Bolivia) che condanna la legittimità della consultazione referendaria.
La OEA (Organizzazione degli Stati Americani) ha affermato che il referendum è "un vero e proprio complotto per impedire che il governo democratico legittimamente eletto possa governare con il suo programma progressista, integrazionista e di giustizia sociale in corso e la Bolivia ha bisogno della solidarietà di tutti i democratici del mondo."
Gli USA, invece, hanno proferito solo un "no comment" ma con le sue "organizzazioni umanitarie" (NED e USAID) ha elargito circa 130 milioni di dollari all'opposizione da quando Evo Morales è diventato presidente, e di questi, 50 milioni di dollari sono stati investiti dal momento in cui è stato proclamato il referendum secessionista. Con queste cifre alla mano è palese l'interesse degli USA per il paese andino.
Ci sono altri finanziatori dell'illegale referendum che sono stati resi noti dal ministro degli Idrocarburi Vilegas e sono: Andina, Chaco, Pan American Energy e Transeredesche. Queste 4 compagnie sono di proprietà di multinazionali come la Repsol ed hanno visto i loro interessi ridimensionati a causa della nazionalizzazione avvenuta il primo maggio 2008: il loro finanziamento ha come unico motivo il riuscire a ripristinare i privilegi pre-nazionalizzazione.

Nessun organo di informazione si è interessato ai motivi per cui un dipartimento di uno stato proponga un referendum per l'indipendenza. Le bandiere bianco-verdi svolazzano ovunque nella regione di Santa Cruz caratterizzata dai suoi immensi latifondi sorvegliate da eserciti privati e lavorati da indios per circa un euro e mezzo al giorno. Negli ultimi mesi gli eserciti privati al soldo dei latifondisti hanno ferito 40 indigeni e fatti scomparire altri 15 solo perché denunciavano la sottrazione illegale di 150000 ettari di terreno.
L'unico scopo del referendum è il mantenimento dello status dominante da parte delle circa 40 famiglie che compongono l'oligarchia del paese legata all'esportazione agricola ed alle multinazionali petrolifere che si sentono minacciate dal processo politico che persegue una equità sociale che la Bolivia non ha mai conosciuto.

Il referendum ha avuto il suo epilogo; i promotori si gongolano del loro 83% di consensi per la secessione camuffata da autonomia ma non menzionano dell'astensionismo che ha sfiorato il 45% e si è triplicata rispetto ad altre consultazioni politiche e referendarie.
Si parla di secessione camuffata da autonomia perché appena sono stati resi noti i risultati gli USA hanno inviato il nuovo ambasciatore Philip Goldberg, che è il massimo esperto statunitense in secessioni ed ha lavorato a tutte le nuove autonomie regionali nella ex-Jugoslavia. L'incarico a Goldberg cela la volontà di impedire l'attuazione della nuova Costituzione Boliviana, desiderata ed approvata da quella maggioranza del paese che è sempre stata sfruttata, discriminata ed usurpata dei più basilari diritti. L'appello di Selvas.org.

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