sabato 28 febbraio 2009

Al via la distribuzione terriera in Bolivia

Dopo alcune settimane dall'approvazione della nuova Costituzione in Bolivia iniziano i primi espropri di terra ai latifondisti per essere redistribuiti agli indios.
Circa Quarantamila ettari di terra che fino al 15 febbraio appartenevano a cinque latifondisti boliviani sono stati espropriati e suddivisi fra sessantacinque piccoli proprietari terrieri.
Uno dei lotti riassegnato era di "proprietà" Custon Larsen Metenbrink che aveva sottratto illegalmente il terreno agricolo alla "Riserva privata del patrimonio naturalistico"; addirittura in questo ed altri appezzamenti espropriati si sono registrati fatti ignobili come la fustigazione e flagellazione da parte dei latifondisti nei confronti dei contadini rei di non aver lavorato abbastanza.

Con l'attuazione della nuova Charta Boliviana la piaga del latifondo verrà, seppur lentamente, smantellato.

mercoledì 25 febbraio 2009

Dieci anni di Chavez

Il 6 dicembre del 1998 Hugo Chávez vinse le elezioni in Venezuela e da allora molte fatti sono accaduti e molti cambiamenti hanno trasformato il paese.
Chi votò la prima volta Chávez non credeva nel neoliberalismo ma sperava che questo ex militare che nel febbraio del 1992 cercò di rovesciare il governo corrotto e figlio del FMI riuscisse a bloccare quel vortice che si stava divorando le ricchezze del paese lasciando ai venezuelani solo pochi centesimi.

Oggi che sono trascorsi 10 anni si possono osservare ciò che è stato fatto e ciò che deve essere ancora migliorato o addirittura pianificato.
Ci sono dati inequivocabili che non sono stati resi noti dal governo venezuelano ma dall’istituto di studi economici delle Nazioni Unite (CEPAL) per cui possiamo reputare attendibili. Chávez ed il suo governo hanno hanno portato gli indicatori di povertà dal 50 al 29%, gli indicatori dell'indigenza dal 22 al 9.9%, la riorganizzazione del sistema previdenziale, il sistema sanitario è stato pressoché creato ex-novo ed oggi conta circa 4500 tra pronti soccorsi, ambulatori ed ospedali, nel 2005 l'analfabetismo è stato debellato, circa il 96% della popolazione ha accesso all'acqua potabile, la disoccupazione è stata dimezzata (oggi al 7%) ed infine il debito pubblico è crollato dal 73 al 15% del PIL.
E' da ricordare il golpe subito nel 2002 attuato dall'oligarchia industriale, ricca e potente appoggiata dagli Usa, che che lo destituì dalla guida del paese per due giorni; la poltrona presidenziale gli fu riconsegnata dal popolo e dalle forze armate fedeli alla costituzione. In quell'occasione i media venezuelani, in mano alla confindustria locale, attuarono un piano di disinformazione che andava dalla programmazione ininterrotta di cartoni animati alla diffusione di false informazioni come le "dimissioni" di Chávez mentre questi era sequestrato dai golpisti.
Con il fallito golpe l'ambito radio televisivo ha visto terminare il quasi monopolio privato a beneficio di una maggiore pluralità con l'apertura di un nuovo canale pubblico (http://calle23.blogspot.com/2008/01/la-verit-su-rctv.html)

Oltre alle molte conquiste economiche e sociali il Venezuela non ha visto decrescere la violenza che lo attraversava come il narcotraffico che è sempre presente e ben radicato; questi due aspetti sono aiutati anche da una corruzione nell'apparato statale che non aiuta la parte onesta della polizia e della magistratura.
La dipendenza dal petrolio e quindi la poca diversificazione produttiva è da annoverare come problema non ancora risolto dato che l'economia venezuelana è basata principalmente sull'oro nero. Fortunatamente il Venezuela ha usufruito di un maggiore gettito fiscale in quest'ultimo decennio dettato dall'aumento costante del prezzo del petrolio fino al picco del 2008; oggi che il prezzo del petrolio è in rapida discesa il governo Chávez dovrà far fronte alla mancanza delle straordinarie entrate che fino a poco tempo fa il petrolio gli garantiva.

Il Venezuela, nel periodo in cui il neoliberismo stava mostrando tutti i suoi limiti, ha iniziato un processo di trasformazione molto profondo che non è esente da errori, rischi e problemi irrisolti. Gli intellettuali occidentali dovrebbe iniziare, finalmente, ad analizzare i cambiamenti dei dieci anni di governo Chávez in modo critico ma senza i preconcetti che da sempre li limitano.

sabato 21 febbraio 2009

La voce indigena in Argentina

In Argentina con l'approvazione nel 1994 della Costituzione le popolazioni indigene hanno visto cancellato ogni loro diritto "ancestrale", ma oggi con gli enormi cambiamenti che si sono verificati in tutto il continente Latino Americano (l'elezione dell'Indio Evo Morales a presidente della Bolivia ed altri riconoscimenti giuridici in alcune Nazioni sud americane) hanno dato un impulso significativo alle popolazioni indigene per rivendicare i propri diritti negati nel secolo passato
Le popolazioni indigene che abitano in Argentina sono circa 35 e le più numerose sono i Mapuches, i Kollas, i Tobas (che si trovano nel nord-est del paese ed a Buenos Aires), i Wichí (nel nord), Guaraníes (nel nord ed a Buenos Aires) ed i Diaguitas (nel nord-est); il loro numero, secondo l'ultimo censimento del 2005, è di circa 400 mila unità che equivale a poco più del 1% di tutta la popolazione argentina.

Ogni popolo indigeno ha le sue caratteristiche ben definite come la lingua e le tradizioni culturali e religione ma tutti chiedono, allo stato centrale, il riconoscimento delle loro terre ancestrali con un atto formale, la fine delle discriminazioni e quindi il completo diritto alla sanità, all'istruzione con l'integrazione dell'insegnamento della lingua e cultura di ogni popolo indigeno, la possibilità di poter essere eletti in una carica pubblica, il rispetto delle autorità indigene ed anche il riconoscimento da parte del governo centrale argentino di regioni in cui i Mapuches per esempio possano esercitare il loro diritto e la loro autodeterminazione.

I Kollas che abitano nella città di Humahuaca, per esempio, hanno formato un partito politico (Movimiento de Participación Comunitaria - MPC) che nelle elezioni locali del 2007 è riuscito a diventare il terzo partito anche se, a causa delle leggi discriminatorie, non le è stato possibile aggiungere al nome la parola "indigena" e neanche di usare la bandiera wiphala (simbolo dell'impero Inca); questi problemi non hanno bloccato il movimento che ha deciso di presentarsi nel 2009 in tutta la regione del Jujuy per cercare di far eleggere i propri candidati sia a livello locale che nazionale.
Le popolazioni dei Kollas di altre regioni hanno preferito non creare un movimento politico ma hanno intrapreso una "lotta" civile per la restituzione di circa un milione di ettari di terra da sempre appartenuti a loro ma che in vari periodi storici sono stati loro sottratti.

Dopo molti secoli in cui le popolazioni indigene si erano isolate tra loro oggi sono ritornate a parlare ed hanno scoperto di avere molti punti in comune su cui vale la pena unirsi. L'unione amplificherà le singole voci per rivendicare il diritto all'autodeterminazione che non significa creare un nuovo stato distinto dall'Argentina ma solamente gestire le terre e le risorse minerarie con il massimo rispetto dell'ambiente come le loro culture millenarie insegnano.

mercoledì 18 febbraio 2009

La nuova costituzione Boliviana alla prova referendaria

In Bolivia domenica 25 gennaio 2009 si è svolto il tanto atteso referendum per l'approvazione della nuova Costituzione voluta dal presidente Evo Morales ed osteggiata dai governatori delle ricche regioni di Tarija, Pando, Beni, Santa Cruz e Chuquisaca (mezza luna).
Il referendum ha approvato il nuovo testo costituzionale con circa il 60% dei voti favorevoli; in alcune regioni "ribelli" della mezza luna la costituzione è stata bocciata (Tarija, e Santa Cruz) mentre nelle altre si è avuto un sostanziale pareggio. Nelle regioni con la più alta densità di popolazione indigena i favorevoli al referendum sono stati la netta maggioranza.

La nuova costituzione rivisitata, integrata e corretta in più di 400 articoli sancisce nuove autonomie etniche e regionali, sancisce la sovranità delle risorse naturali del paese, debella i latifondi imponendo un limite massimo alla proprietà privata (al massimo 5mila ettari di terra) grazie ad una ampia riforma agraria, la possibilità di eleggere un presidente per due mandati ed infine pone sullo stesso piano la religione cristiana e le religioni indigene centrate sulla Pachamama Inca.

Morales commentando la vittoria delle urne ha sottolineato varie volte che durante la giornata di votazione non si sono verificati atti violenti ha poi continuato affermando che "Oggi da qui comincia una nuova Bolivia. Da oggi inizia la rifondazione della Bolivia. Niente fermerà la trasformazione profonda e democratica. Milioni e milioni di cittadini boliviani garantiranno la rifondazione del Paese".
Evo Morales è il presidente della Bolivia da circa tre anni ed in questo periodo insieme al suo governo, democraticamente eletto, è riuscito a mantenere sotto controllo l'inflazione, a sconfiggere l'analfabetismo, il paese è cresciuto ad un ritmo medio del 6% l'anno, le fasce più deboli e povere della popolazione hanno riacquistato la dignità persa in innumerevoli anni di sfruttamento ma ci sono molte altre ingiustizie sociali che ancora esistono. La speranza dei boliviani sono riposte anche in questa nuova e più giusta Costituzione.

sabato 14 febbraio 2009

Continua la resistenza del popolo Mapuche

La situazione del popolo Mapuche continua a non migliorare. Dopo circa un anno dall'omicidio di Matías Catrileo da parte dei carabineros, e dallo sciopero della fame di Patricia Troncoso e di altri 32 prigionieri politici condannati a pene assurde per la sola colpa di aver tentato di riappropriarsi delle loro terre ancestrali, all'inizio del 2009 si sono verificate altre violenze e vessazioni ai loro danni.
Un'attivista Mapuche è stato arrestato e condannato a 5 anni di carcere per aver tagliato del foraggio da alcuni campi di proprietà pubblica ma da alcuni mesi usurpati illegalmente da alcuni latifondisti.
A metà gennaio la comunità Yeupeko, a Vilcún, ha subito all'alba un'incursione dei carabineros che hanno fatto irruzione nelle abitazioni minacciando con le armi uomini, donne e bambini e perquisendo brutalmente la comunità alla ricerca di pericolosi terroristi. La situazione ha rischiato di precipitare quando i carabineros hanno cercato nuove traccie dei terroristi Mapuche nelle campagne attorno alla comunità di Yeupeko arrivando ad uno scontro a fuoco con alcuni guerrieri di Yeupeko. Fortunatamente le forze di polizia cilene hanno deciso di abbandonare la zona e lo scontro ha avuto termine senza feriti.

Il popolo Mapuche si vede discriminato dal governo della "progressista" Michelle Bachelet, che usa il solito comportamento che usava il dittatore Pinochet, in quanto ogni loro atto di protesta (che può essere l'occupazione di una terra o l'incendio controllato di un campo) termina con il loro arresto e con l'applicazione chirurgica della legge cilena anti-terrorismo che porta i condannati a pene quasi sempre superiori ai dieci anni di carcere.

Ad un anno dall'omicidio di Matias Catrileo ricordiamo le sue parole e manteniamole vive per non dimenticare mai le sofferenze del popolo Mapuche.
"Noi non siamo gli indigeni del Cile, noi siamo Mapuche, siamo a parte, siamo un Popolo che è sempre stato qui, che è nato in questa terra e qui morirà, morirà lottando, anche per lottare per essa, noi non siamo cileni, siamo Mapuche e questo non ce lo dimenticheremo mai".

mercoledì 11 febbraio 2009

Frómeta, un altro amico di Posada Carriles

Rodolfo Frómeta è un terrorista cubano americano a capo del Commando F-4 che adesso risiede a Miami (USA). Proprio a Miami è stato intervistato per più di due ore da Armando Pérez Roura a Radio Mambí, lanciando appelli per racimolare fondi per le sue "missioni di sabotaggio" a Cuba, descrivendo la base in El Salvador, le tecniche con cui addestra i terroristi, e ripercorrendo le proprie gesta terroristiche contro Cuba dagli anni '80 ad oggi.
Nel 1981 faceva parte dell'organizzazione Alpha 66 e riuscì a realizzare alcuni atti criminali a Cuba come l'avvelenamento di bestiame, l'incendio di campi coltivati con la canna da zucchero e la distruzione di alcuni agrumeti. Dopo uno di questi reati fu arrestato e condannato a dieci anni di carcere. Dopo i dieci anni di carcere scontati a Cuba, Frómeta decise di far ritorno a Miami e nel 1994 fu arrestato nuovamente perché durante una perquisizione della guardia costiera statunitense nell'imbarcazione dove viaggiava insieme ad altri sei terroristi furono trovati 50 tra fucili automatici e pistole, 26mila proiettili e circa 15 mila dollari.
Sempre nel 1994 fu ancora arrestato in compagnia di un altro terrorista del gruppo Alpha 66, Fausto Marimon, mentre stavano acquistando un missile terra-aria Stinger, tre missili anticarro M-72, esplosivo C4, alcuni lanciagranate ed alcune casse di granate da un'agente di polizia federale in incognito.
Scontata anche questa condanna nel 2001 tentò ancora di penetrare illegalmente in territorio cubano per commettere altri atti terroristici, questa volta contro strutture turistiche ma non riuscì a mettere piede a Cuba.

Frómeta oltre ad essere a capo del Commando F-4 intrattiene anche rapporti con un altro notissimo terrorista che è Posada Carriles e con ambienti anti-Chávez, come dimostrano alcune indagini svolte dai servizi segreti spagnoli in cui si afferma che nel settembre 2002 l'ex-capitano della Guardia Nacional de Venezuela, Luis García Morales, ha incontrato e stretto alleanze con gli esuli cubani del Commando F-4 per realizzare attività contro il governo del presidente Hugo Chávez.

Dopo la lunga intervista a Radio Mambí e le prove, ormai di dominio pubblico, che affermano che Frómeta è un terrorista la polizia statunitense continua ad ignorarlo come fosse un cittadino modello il che dimostra che negli USA, patria delle crociate contro i terroristi, tutto ciò che ha a che fare con il terrorismo contro Cuba non ha interesse investigativo.

sabato 7 febbraio 2009

Contreras ed i suoi servizi segreti

Manuel Contreras, ex-capo della DINA durante la dittatura di Pinochet, sta scontando numerose condanne tra cui alcuni ergastoli per crimini contro l'umanità, ma deve ancora essere giudicato per altri casi di arresto illegale e successiva sparizione di alcuni oppositori cileni al regime di Pinochet.
Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 la Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos (AFDD) ha denunciato una manovra dell'intelligence cilena per depistare le indagini che ancora sono in corso su molti delitti contro i diritti umani. Queste "manipolazioni" sono state effettuate dagli agenti e da settori dell'intelligence vicine a Manuel Contreras ed alla destra cilena secondo le fonti in possesso del AFDD.
Questi veri e propri atti di depistaggio sulle indagini condotte dalla magistratura
servono per rimettere in discussione tutte le indagini e far sorgere dubbi sulla veridicità delle testimonianze dei familiari dei "presunti" desaparecidos.
Grazie a questi depistaggi alla fine del 2008 sono stati scoperti tre falsi casi di desaparecidos che hanno costretto un giudice a bloccare il processo a carico di alcuni membri dell'esercito cileno ed a vagliare nuovamente le prove che erano state acquisite.
L'avvocato Hugo Gutiérrez che rappresenta le vittime della "Caravana de la Muerte" (una squadra speciale dell'esercito cileno che durante i primi giorni della dittatura cilena nel 1973 uccise più di 120 oppositori del regime di Pinochet) ha annunciato che c'è bisogno di una azione ufficiale del ministro Carlos Gajardo, che porti alla luce le vergognose manovre di intelligence di Manuel Contreras.
Tucapel Jiménez, deputato indipendente del Parlamento cileno, sostiene l'avvocato Gutiérrez affermando che è desiderio del Parlamento e del popolo cileno sapere che la polizia e la gendarmeria agiscono con modi trasparenti e nel rispetto delle leggi, e nel caso si verificassero operazioni illegali, come quelle che vedono a capo Contreras, le persone implicate dovranno essere punite.

mercoledì 4 febbraio 2009

Giustizia per i campesinos della Sierra de Piura

Nel 2005 in agosto ventinove campesinos peruviani della Sierra de Piura, nel nord del paese, e quattro giornalisti, manifestarono davanti alla miniera di Majaz (che era di proprietà della società inglese Monterrico Metals) perché lo sfruttamento minerario impoveriva di acqua la regione, da sempre a vocazione agricola, ed inquinava le falde da cui i campesinos dipendevano e dipendono.

La loro manifestazione fu repressa dalla polizia che li arrestò, li trattenne per tre giorni incappucciati, colpendoli violentemente più volte e obbligandoli a spogliarsi. Melanio García fu colpito varie volte alla testa ed al collo con una pala dalla polizia ed il giorno dopo l'arresto illegale morì.
I cappucci che la polizia usò per i trentatré prigionieri furono “imbevuti” dalla polvere dei lacrimogeni che non permetteva loro di respirare.
La polizia fermò i manifestanti con l'accusa di terrorismo anche se le loro uniche armi erano dei cartelli in cui spiegavano il motivo della loro protesta.
Il magistrato Félix Toledo quando arrivò il giorno seguente alla miniera e vide in che condizione erano trattenuti i manifestanti non fece altro che accusare quest'ultimi di aggressione alla forza pubblica, terrorismo ed atti di devastazione verso la miniera.

Dopo i tre giorni di detenzione illegale i campesinos furono liberati ed immediatamente denunciarono la polizia di violazione dei diritti umani, ma non furono creduti; fortunatamente a distanza di più di tre anni i quattro giornalisti che manifestavano sono riusciti a reperire delle fotografie nelle quali si vedono ritratti i campesinos incappucciati con la polizia che li sorveglia ed in altre foto si nota come un alto ufficiale dia disposizioni agli agenti su come affrontare e poi trattare i manifestanti. Le immagini rese pubbliche nel gennaio del 2009 dimostrano inequivocabilmente come la polizia peruviana si sia macchiata di colpe gravi come la tortura ed il sequestro di persona.
La Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) ha ricevuto le fotografie e le denunce delle vittime e si è subito attivata per fare luce sulla vicenda e per dare giustizia alle vittime che per più di tre anni non sono state credute ma anzi sono state accusate di essere dei terroristi.