giovedì 30 aprile 2009

Alfonsín :"La politica, quando non è dialogo, finisce per diventare violenza"

Il 31 marzo 2009 è morto, a 82 anni, l'ex-presidente argentino Raúl Alfonsín nella sua casa di Buenos Aires. Alfonsín fu l'esponente di spicco della corrente minoritaria del partito social-progressista dell’Unión Civica Radical, partito moderato delle classi medie anti-peroniste, e fu il primo candidato alla presidenza che sconfisse un candidato peronista presidente (Ítalo Lúder). Il 30 ottobre del 1983 con il 51.7% dei voti fu eletto democraticamente dopo gli otto tetri anni di dittatura militare.
Nel periodo della dittatura militare che si macchiò con più di trentamila desaparecidos, Alfonsín fondò l'Assemblea permanente per la difesa dei diritti umani e iniziò ad indagare sui molti casi di desaparecidos. Sempre durante la dittatura fu uno dei pochissimi politici che non volle presenziare ad una cerimonia organizzata dalla giunta militare che nel 1982 festeggiava la riconquista delle Malvinas a danno dell'Inghilterra; la guerra che poi vide sconfitta l'Argentina e che accelerò la caduta della dittatura militare fu definita da Alfonsín "un'avventura folle".

Appena eletto presidente creò il CONADEP (Commissione nazionale sulla sparizione di persone) alla cui presidenza pose lo scrittore Ernesto Sabato; la Commissione produsse il famoso e fondamentale documento Nunca Más che ricostruisce istante dopo istante gli anni bui e duri attribuendo le responsabilità ai colpevoli.
Grazie all'accurato lavoro nella stesura del Nunca Más 15 alti ufficiali delle Forze armate vennero condannati a lunghe pene detentive (Viola, Lambruschini e Agosti) fino ad arrivare all'ergastolo (Jorge Videla, Eduardo Massera).
Dopo le esemplari condanne subita dalle gerarchi militari in Argentina aumentarono le pressioni da parte dell'esercito con la minaccia di un nuovo colpo di Stato, così alla fine il Presidente dovette cedere al ricatto e firmare le due leggi di impunità.
Le leggi Ley del Punto Final e Ley de Obediencia Debida (che furono eliminate solo durante il primo mandato di Nestor Kirchner) salvarono dalle carceri i torturatori e assassini.
Con la presidenza di Raúl Alfonsín, ed in accordo col Brasile, nacque il Mercosur; l'Argentina appianò i conflitti con il Cile per i confini tra i due stati (Canale Beagle), si schierò fortemente in favore del Nicaragua che vedeva minacciata la propria libertà dalla politica sconsiderata di Ronald Reagan, rese legale il divorzio abolito dal primo colpo di stato nel 1955.
Cercò nel suo mandato di ridurre la povertà e di bloccare l'inflazione ma il paese ormai era già preda del regime fondo monetarista e così non riuscì a portare a termine quello che aveva iniziato e sognato con il Plan Austral.
Con l'Argentina caduta nella spirale inflazionistica e sempre più vittima del FMI si verificarono grandi proteste promosse dai peronisti e dei sindacati che bloccarono il paese con otto scioperi generali che portarono alle dimissioni di Alfonsín ed all'avvicendamento con Carlos Menem.

Sicuramente il Presidente Raúl Alfonsín commise alcuni errori e non fu supportato dalla classe politica del paese, ma rimane il simbolo della rinata e onesta democrazia Argentina come testimoniano i numerosi argentini che hanno sfilato davanti alla sua abitazione dal giorno della sua morte.

domenica 26 aprile 2009

La Bolivia ed il Pacifico

A fine marzo il ministro degli Esteri boliviano, David Choquehuanca, ha affermato che La Paz ha tutte le intenzioni di aprire un dialogo veramente franco e pacato con il governo del Perù per garantire alla Bolivia uno sbocco sull'oceano Pacifico.
La Bolivia perse i propri territori costieri compresi tra Tacna (ora in Perù) e Arica (ora in Cile) nella guerra del Pacifico (1879-1884). Arica era peruviana e l'area sottostante era boliviana.
La questione è più complicata di come si presenta perché per molto tempo tra la Bolivia ed il Perù i rapporti non sono stati idilliaci soprattutto per la questione territoriale; oltre a questo aspetto c'è quello che riguarda il contenzioso aperto tra Perù e Cile per una questione di sovranità su un'area marittima di 35mila chilometri al confine dei due paesi e per la quale è stato richiesto l'intervento dall'Aja.
Il contenzioso tra Lima e Santiago verte sui limiti marittimi di una delle aree (compresa tra Tacna e Arica) più pescose della costa Pacifica del Sud America. Santiago afferma che l'area è di sua appartenenza in base a due dichiarazioni, del 1952 e del 1954, che fissano i confini delle acque territoriali dei due paesi.
La Bolivia è coinvolta nella richiesta di arbitrato fatta all'Aja perché nel caso in cui il Tribunale desse ragione al Perù la Bolivia vedrebbe persa ogni possibilità di riavere un tratto di costa.
La situazione è complessa ma oggi sembra che tutti gli attori in scena abbiano deciso di abbassare i toni della disputa per riuscire a trovare dopo molti anni e molte controversie una soluzione pacifica.

mercoledì 22 aprile 2009

Uruguay: Otto condanne per violazione dei diritti umani

In Uruguay a fine marzo del 2009 è arrivata la prima sentenza per la violazione dei diritti umani durante la dittatura (1973-1985).
La sentenza colpisce, finalmente, 6 militari e 2 poliziotti con pene che vanno dai 20 ai 25 anni di carcere per le loro responsabilità in 28 omicidi durante la dittatura locale ed in collaborazione con la dittatura argentina nell'ambito del Plan Condor.

Nel paese esiste la legge (Ley de Caducidad) che rende non perseguibili dalla magistratura i mostri che scorrazzarono per l'Uruguay imprigionando, torturando ed uccidendo gli oppositori del regime. Per questo motivo la sentenza del tribunale di Montevideo è storica ed è stata resa possibile perché i delitti degli otto imputati sono avvenuti fuori dai confini nazionali ai danni di cittadini uruguaiani per cui l'extraterritorialità ha reso vana la Ley de Caducidad.

La condanna dei primi aguzzini ha dato slancio ad alcune organizzazioni per la difesa dei diritti umani che hanno iniziato a raccogliere firme, ne serviranno 250.000 firme, per la convocazione di un referendum che abroghi l'ignobile Ley de Caducidad.

sabato 18 aprile 2009

Il Perù svende l'Amazzonia

Il governo del Perù da alcuni anni ha diviso il paese in lotti per poter “regolamentare” la concessione delle esplorazioni del sottosuolo. A fine marzo il governo ha concesso altri dodici lotti, che sono localizzati nella foresta Amazzonica, ad alcune compagnie petrolifere (Perenco, Repsol-YPF, Petrolifera, Pluspetrol e Petrobras ) tramite la società Perupetro.
In queste aree le concessionarie sperano di individuare nuovi giacimenti di petrolio o di gas naturale.

Il fatto principale è che il Perù ha ormai concesso il diritto di esplorazione e estrazione a molte multinazionali su circa il 78% della foresta Amazzonica. Molte zone della foresta sono abitate da popolazioni che non sono mai entrate in contatto con altre civiltà ed un “incontro” con nuove civiltà potrebbe portarli all'estinzione; per questo il Survival International (associazione no profit che si batte per il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni) ha esortato con vigore il governo ad escludere le terre in cui vivono le popolazioni isolate perché “Per gli Indiani che abitano in quelle terre, le conseguenze sarebbero catastrofiche”.

La risposta della Perupetro è stata assurda, prima hanno negato l'esistenza di popolazioni isolate e poi, solo dopo molte pressioni da parte della Survival International, hanno promesso che si metteranno in contatto con gli indigeni per consultarli sulle esplorazioni del sottosuolo.
Se le concessioni verranno ufficializzate e rese esecutive (sembra che il governo peruviano non voglia tornare sui suoi passi) lo stato del Perù infrangerà la Dichiarazione sui Popoli Indigeni delle Nazioni Unite.

mercoledì 15 aprile 2009

Le Terre Ancestrali del Roraima

In Brasile il Supremo Tribunale Federale ha emesso a metà marzo 2009 una storica sentenza a favore degli indigeni dello stato di Roraima che riconosce il loro diritto alla terra affermando che "le terre indigene sono inalienabili e i diritti su di esse sono imprescrittibili".

L'area che prima il decreto di Lula e poi il Supremo Tribunale Federale ha riconsegnato alle popolazioni indigene è nel nord del paese al confine tra Venezuela e Guyana e si estende per circa 1,7 milioni di ettari.
La battaglia che le popolazioni native hanno intrapreso per poter far ritorno nello loro terre ancestrali è iniziata negli anni sessanta ed è sempre stata osteggiata dai latifondisti e dalla politica che con i latifondisti ha stretto forti legami. La Coalizione tra latifondisti e politica è basata sul controllo ed il relativo sfruttamento delle terre che accresce il potere economico dei pochi uomini che ne beneficiano a sfavore delle numerose comunità. I parlamentari dello stato di Roraima, legati ai grandi proprietari, si sono da sempre opposti alle popolazioni indigene che chiedevano la restituzione delle terre, il riconoscimento dei propri diritti e la riforma agraria.
Lo scontro si acuì nel 2005 quando il decreto Lula imponeva la restituzione delle terre agli Indios; i latifondisti decisero di impugnare il decreto davanti al tribunale federale che finalmente ha messo fine al contenzioso.

La sentenza, ha avuto dieci voti a favore ed un solo contrario a uno, ha ufficializzato la restituzione del territorio "Raposa Serra do Sol" alle circa 195 comunità indigene che già dal 2005 dovevano rientrare in possesso come indicava un decreto del presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. Il decreto ordinava ai grandi latifondisti e produttori di riso di lasciare le terre che avevano illegalmente occupato e che non volevano abbandonare arrivando anche ad uccidere dieci Indios a colpi di pistola nei pressi di in una fattoria.
Il giudice Celso de Mello ha motivato ai cronisti presenti fuori dal tribunale la sua posizione con le seguenti parole: "Senza quelle terre i nativi sarebbero esposti al rischio gravissimo della disintegrazione culturale, della perdita della propria identità, della dissoluzione dei loro vincoli storici, sociali e antropologici, e infine dell'erosione della propria coscienza".
Grazie alla sentenza emessa dal Supremo Tribunale Federale i popoli che dovrebbero risiedere nei circa 600 territori ancestrali, che la Fondazione nazionale indigena (Funai) sta identificando, avranno una speranza più forte per aver riconosciuti i propri diritti.

sabato 11 aprile 2009

Elezioni in El Salvador

Domenica 15 marzo 2009 in El Salvador si sono 1svolte le elezioni presidenziali con un'affluenza del 72% dei votanti, che hanno eletto Presidente Mauricio Funes, del Fmln, con il 51,3% dei voti, mentre Rodrigo Ávila, candidato di Arena, ha ottenuto il 48,7%.
La vittoria di Funes segna la fine dopo vent'anni del "dominio" del partito di destra nazionalista Arena e l'ascesa al potere del partito nato dalle ceneri dell'ex esercito guerrigliero marxista, Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional, che ha combattuto dal 1980 al 1992 una guerra civile per liberare il paese da una dittatura iniziata nel 1960.
Per la prima volta il Fmln ha presentato come candidato una persona che non ha combattuto nella guerra di liberazione e questo ha portato delle frizioni all'interno del partito, ma alla fine le polemiche interne sono state superate grazie a lunghe trattative ed anche al riscontro dei sondaggi pre-elettorali che davano Funes, ex volto televisivo e corrispondente della Cnn, in vantaggio rispetto al candidato di Arena.
Rodrigo Ávila, candidato alla presidenza di Arena, una volta resi noti i risultati elettorali dal Tribunale Supremo Elettorale (Tse) ha riconosciuto la sconfitta ed ha dichiarato: "Oggi abbiamo dato l'esempio su come si accetta giustamente la volontà popolare. Abbiamo affrontato al meglio una giornata elettorale che ci vede sconfitti, ma la sconfitta non ci annullerà. Siamo e saremo una opposizione forte e costruttiva. Una opposizione che controllerà che il nostro paese non si trasformi e non perda il suo sistema liberale e democratico".
Funes nel primo breve discorso dopo aver ringraziato i suoi elettori, il suo partito, la sua famiglia, il suo gruppo di lavoro, i suoi amici ed aver promesso che rispetterà fedelmente la Costituzione ha affermato: "Questo è il giorno più felice della mia vita. Sarò il presidente di tutti. Adesso deve esserci lo stesso sentimento di speranza e di riconciliazione che rese possibile gli accordi di pace. Oggi abbiamo firmato un nuovo accordo di pace e di riconciliazione del paese con se stesso. Per questo motivo invitiamo le diverse forze sociali e politiche a costruire insieme il futuro. Non ho dubbi: in questo giorno ha trionfato la cittadinanza che ha creduto nella speranza e che ha sconfitto la paura. Lo dico e lo ripeto, il mio governo sarà animato dallo spirito dell’unità nazionale. La costruzione dell’unità nazionale esige lasciare da parte, nello stesso momento, il confronto e le rimostranze."
"Come presidente eletto di tutti i salvadoregni, cercherò di beneficiare la maggioranza della popolazione, indipendentemente dalle sue preferenze politiche. Saluto i miei avversari con rispetto, riconosco il loro impegno e esprimo la mia disponibilità allo scambio libero di idee, in funzione dell’interesse nazionale e al rafforzamento della democrazia."
Il neo Presidente che si insedierà a giugno avrà un difficile compito: quello di mantenere fede alle promesse fatte in campagna elettorale quando prometteva l'esercizio fiscale responsabile, la crescita dell'economia di paese, il rispetto costante della Costituzione della Repubblica e l'impegno ad aiutare il sistema giuridico nell'espletare le sue funzioni di vigilanza e garanzia. Altro nodo importante della nuova Presidenza sarà la politica estera in cui El Salvador dovrà rafforzare le proprie alleanze sia bilaterali (USA in primis) sia multilaterali ( integrazione centro americana) senza perdere la propria indipendenza.
Adesso si attende che Funes porti un cambio radicale nella vita politica, economica e sociale del paese rivolgendosi a tutti i salvadoregni dal ricco imprenditore ai numerosissimi poveri che vivono, o meglio sopravvivono, nel paese. Forse questo rinnovamento, doveroso, è più vicino dato che Funes ha ricordato più volte Monsignor Oscar Arnulfo Romero, simbolo dei massacri effettuati dai paramilitari durante la guerra civile, ha affermando che "Lui aveva una preferenza per i poveri e stava seguendo una strada giusta. Ecco cosa farò io!".

mercoledì 8 aprile 2009

Testimonianze colombiane

L'esercito rivoluzionario delle FARC ha rilasciato il 18 marzo l'ingegnere svedese Erik Roland Larsson che fu rapito nel 2007. Larsson che oggi ha 69 anni e non gode di buona salute fu rapito dalla sua proprietà agricola nella regione a nord di Córdoba e fu richiesto per lui un riscatto da 5 milioni di dollari che secondo le fonti ufficiali non sono mai stati pagati.
Il conflitto tra Stato colombiano e Farc sembra che volga a favore del primo protagonista dopo i numerosi rilasci di ostaggi da parte dell'esercito guerrigliero e dopo anche la simbolica richiesta di perdono da parte di Karina, la guerrigliera delle Farc catturata nel 2008, per il dolore che le sua azioni hanno arrecato ai colombiani.
Tutti questi elementi, amplificati dai media pro Uribe, rafforzano l'immagine di Uribe che rimarca spesso nelle proprie dichiarazioni quanto siano deboli le Farc grazie alla politica del suo governo ed al positivo lavoro dell'esercito anche se in alcune regioni, quelle agricole, le Farc controllano il territorio e lo stato è completamente assente oppure è debole.
Questa campagna mediatica, sui presunti successi contro la guerriglia, cerca di far dimenticare dall'opinione pubblica tutti gli scandali che il governo Uribe e l'esercito stanno attraversando.

La lettera aperta, che riporto sotto, scritta da Don Angelo Casadei da un quadro molto più cupo di quello roseo che i media colombiani dipingono.
Don Angelo Casadei è uno dei missionari italiani che operano a Remolino del Caguán, un paese sperduto nella foresta amazzonica sulle anse del fiume Caguán controllato da sempre dalle Farc a cui, solo nel paese, da poco tempo si è sostituito l'esercito regolare.
Ecco cosa scrive Don Casadei: "Da due lunghi anni qui a Remolino del Caguán conviviamo ogni giorno con l'Esercito Nazionale, l'unica presenza dello Stato in un territorio lasciato per anni in balia della giustizia fai da te. La presenza del governatore e del sindaco è quasi nulla, e quando vengono a farci visita arrivano con un elicottero da guerra, scortati da forze militari. La gente, se vuole sopravvivere, deve obbedire a chi comanda, armi in pugno. In nessun momento si sente libera di agire. Questo è un territorio dove è ancora forte la presenza della guerriglia delle Farc, a cui tutti devono portare rispetto. La guerriglia deve essere informata di qualunque cosa, decisioni, arrivi e partenze. Viviamo in uno stato di guerra permanente, e dei peggiori: qui c'è una guerra tra fratelli del medesimo Paese, qui c'è una guerra civile".
"Qualunque guerra crea solo ingiustizie, da ogni parte, e chi ne porta il peso maggiore sono coloro che stanno nel mezzo: in questo caso i contadini. Sono pochi quelli rimasti da quando è iniziata la repressione nel Caguán, inaugurata dall'attuale Presidente. Una repressione che ha cambiato molto il nostro territorio. Molta gente se ne è andata e dà dolore vedere questo paese quasi vuoto. Qui abbiamo subito una vera "purga": è una repressione che vuole farla finita con la gente. Si stanno attaccando i piccoli commercianti del luogo, i loro líderes comunitari. È una guerra che sta lasciando solo morti. Le persone che restano sono disanimate".
"La cosa più triste di tutta questa storia è che molti dei desplazados fuggiti da Remolino si stanno vendendo all'Esercito e stanno denunciando persone innocenti che ancora vivono qui cercando di rifarsi una vita onestamente. È una guerra tra poveri alimentata dalle stesse forze militari. E a pagare sono sempre gli stessi".

sabato 4 aprile 2009

La nascita del Consejo de Defensa

I dodici paesi membri dell'Unasur (Unión de Naciones Suramericanes) si sono incontrati all'inizio di marzo del 2009 a Santiago del Cile, con l'obiettivo di consolidare la cooperazioni fra le forze armate ed aumentare la trasparenza delle spese militari. Per dare seguito a questi propositi è stato costituito il Consejo de Defensa.
Il Consejo de Defensa si riunirà almeno una volta l'anno con la presenza di tutti i ministri della difesa e se ne aggiungeranno almeno due presiedute dai viceministri dei paesi membro. La cooperazione militare in Sud America fino ad ora era avvenuta con trattati bilaterali e mai multilaterali come sottolinea il ministro della Difesa cileno, Josè Goni, che afferma: "Con l'iniziativa in questione cerchiamo una convergenza di interessi. Soprattutto la creazione del Consiglio di Difesa non è un argomento militare, ma di polizia. E serve anche per tutelarci dalle ingerenze straniere avvenute negli ultimi anni".

La costituzione del nuovo organo di difesa dell'Unasur è stato accelerato della riattivazione del comando sud atlantico della flotta statunitense e successivamente dalle manovre di addestramento della marina USA, prima davanti alle coste dell'Argentina, e poi nel mar dei Caraibi in prossimità delle acque venezuelane.
Altro fattore che ha dato un impulso importante alla creazione del Consejo de Defensa sono stati i forti attriti tra Colombia con Ecuador e Venezuela dopo l'incursione dell'esercito di Bogotá in territorio ecuadoriano per colpire l'accampamento delle FARC dove il numero due della guerriglia, Raul Reyes, è stato ucciso; altro fattore accelerante sono state le polemiche tra Cile e Perù sul tema delle crescenti spese militari.

Il Consejo oltre a coordinare le Forze Armate dei vari paesi, vigilerà sulle sovranità territoriali e sul pericolo di ingerenze da parte di stati che non fanno parte dell'alleanza. Oltre a ciò i militari saranno chiamati in causa per risolvere le piccole dispute territoriali che esistono tra gli stati ed infine coordineranno le operazioni per la lotta narcotraffico. Lotta che attualmente è di fondamentale importanza vista l'impennata di traffici di droga lungo i confini degli stati sudamericani.
Lo scopo principale de Consiglio di Difesa sarà quello di creare in futuro un esercito per la difesa sudamericana che rafforzerà la fiducia, la cooperazione, l'integrazione ed il dialogo tra tutti i paesi dell'Unasur.

mercoledì 1 aprile 2009

Epidemia Dengue in Paraguay e Bolivia

A gennaio 2009 in Paraguay si è sviluppata una pericolosa epidemia di dengue che ha costretto il governo di Lugo a proclamare lo stato di allarme sanitario.
L'epidemia di dengue, che ha colpito il paese, non è la variante classica ma quella emorragica.
Sfortunatamente l'emergenza sanitaria si è spostata anche in Bolivia dove ad oggi si contavano circa 450 mila casi di contagio di cui il 70% circa nella provincia di Santa Cruz, dove ormai le strutture sanitarie non riescono quasi più a seguire gli ammalati. Per adesso solo in 100 pazienti si manifestata la variante più pericolosa, quella emorragica, e di questi 25 sono deceduti.

In Bolivia e Paraguay con lo scoppio dell'epidemia sono giunti circa 400 medici e specialisti provenienti da Cuba impegnati nella cura e nella prevenzione.
Oltre all'arrivo dei medici cubani nei due Stati sono giunti anche aiuti economici e materiale sanitario dal Venezuela, dalla Colombia, dalla Spagna e dalla Francia.
Per combattere l'estendersi della malattia ad altre aree è stato dato il via ad alcune campagne di fumigazione che dovrebbero uccidere la zanzara Aedes Aegypti che trasporta il virus.
Il ministro della Sanità boliviano ha affermato: "La raccolta della spazzatura dev’essere fatta due volte al giorno e non due volte la settimana, soprattutto per la presenza di oggetti di plastica e di vecchi pneumatici, che con le piogge frequenti si trasformano in punti di riproduzione perfetti delle zanzare"; ha ringraziato i medici cubani per il lavoro svolto ed ha aggiunto che la cooperazione tra le nazioni confinanti è molto importante e significativa.

La ricercatrice argentina Andrea Gamarnik, che ha scoperto come il virus si riproduce all'interno delle cellule, sottolinea come la ricerca scientifica per arrivare ad un vaccino è complicata perché oltre alle difficoltà tecniche e di ricerca si deve scontrare con problematiche economiche.
I problemi economici derivano dal fatto che le multinazionali farmaceutiche, stranamente, non investono denaro in malattie che colpiscono i paesi poveri del Sud del mondo.